Visualizzazioni totali

venerdì 18 settembre 2015

Lotta all’evasione. Redditometro, controlli dimezzati. Nel 2014 accertamenti a quota 11.091 contro 21.535 nel 2013. Gettito sotto le attese

Da arma letale a residuato bellico per stanare gli evasori. A certificarlo è la Corte dei conti ell’ultimo rendiconto generale dello Stato. I giudici contabili hanno messo in fila i numeri di controlli e risultati finanziari. Il tanto declamato (e tribolato) redditometro ne esce decisamente ridimensionato.
Le verifiche del fisco incrociando le spese sostenute con i redditi dichiarati (in gergo tecnico si chiamano «accertamenti sintetici») sono state l’anno scorso poco più di 11mila. Un dato che segna un crollo verticale sia rispetto al 2013 (-48,5%) sia rispetto al 2011 (-69,4%).
Da un lato, si spiega, ha pesato il debutto molto complicato del nuovo redditometro: previsto da una legge di fine maggio 2010, attuato da un decreto di fine 2012, è diventato operativo solo lo scorso anno a causa della necessità di tutelare adeguatamente il trattamento dei dati personali dei contribuenti messi sotto osservazione, come ha fatto notare il garante della Privacy. Dall’altro, le priorità nella lotta all’evasione sono diventate altre: puntare molto di più sulla compliance e sfruttare quindi le nuove opportunità del ravvedimento operoso «lungo» previsto dall’ultima legge di Stabilità. Non a caso, alcuni dei dati presenti in Anagrafe tributaria posti alla base della misurazione della ricchezza effettiva vengono ora «condivisi» con i contribuenti per consentire loro di adeguarsi spontaneamente.
Nello spirito dell’operazione «Accertamento cambia verso» voluta da Governo e amministrazione finanziaria, tra le righe del bilancio 2014 delle Entrate si legge che per l’anno in corso «l’Agenzia utilizzerà con la massima attenzione i diversi strumenti di ricostruzione presuntiva del reddito». In sostanza, il fisco chiede ai suoi uffici di tenere conto della «capacità diretta di selezione delle strutture operative in relazione alla platea di contribuenti presenti nel proprio territorio, nonché della disponibilità di nuovi elementi informativi negli applicativi informatici». E quindi il redditometro sarà (o almeno dovrebbe essere) attivato solo in casi limite, ossia «nei confronti di coloro che presentano scostamenti significativi (oltre il 20%, ndr) tra reddito dichiarato e capacità di spesa manifestata».
Del resto, anche la fotografia scattata dalla Corte dei conti lascia pochi margini per intravedere uno scenario differente. Detto dei numeri sui controlli in calo, l’immediata conseguenza è rappresentata dagli incassi che languono, tanto che tra risultati attesi e quelli effettivamente raggiunti il gap è abissale. Pur entrando nello specifico della distinzione tra vecchio e nuovo redditometro, i giudici contabili contestualizzano le entrate da controlli sulle partite Iva, detto in altri termini professionisti e piccoli imprenditori: «Gli 8.678 accertamenti effettuati nel 2011, alla data del 31 dicembre 2014 hanno dato luogo a entrate per 188 milioni – scrive la Corte – ossia un quarto dei risultati attesi dopo le modifiche apportate all’istituto dal Dl 78/2010». Infatti, il provvedimento che ha previsto il restyling del redditometro aveva anche preventivato performance di incassi: 741,2 milioni di euro nel 2011, 708,8 nel 2012 e 814,7 nel 2013. A questo va aggiunto che il decreto anticrisi dell’estate 2008 «aveva previsto - come ricordano i giudici contabili - maggiori entrate, pur non iscritte in bilancio, attribuibili agli effetti di un piano straordinario di controlli finalizzati all’accertamento sintetico, per 170 milioni per il 2009, 290 milioni per il 2010 e 520 milioni per il 2011».
Va però precisato che l’agenzia delle Entrate quantifica in 230 milioni la maggiore imposta accertata da tutti i controlli 2014 con il redditometro (mentre per il 2013 la Corte dei conti certifica una maggiore imposta accertata per 359 milioni). Naturalmente bisognerà aspettare per capire quante di queste contestazioni si tradurranno in incassi, perché il contribuente potrebbe scegliere la strada di ridefinire la pretesa (ad esempio con l’adesione) o andare in contenzioso, passando in questo caso obbligatoriamente prima dalla mediazione per importi fino a 20mila euro (si veda il servizio in pagina).

(Fonte: Marco Mobili e Giovanni Parente – Il Sole 24 Ore – 22 agosto 2015)